Pianta erbacea perenne di 5-50 cm;
Fusti eretti, gracili, di altezza variabile, più sviluppati e ramosi in alto;
Foglie basali in rosetta, oblanceolato-spatolate; foglie cauline simili ma poche e disposte in modo sparso;
Racemo semplice o ramificato con fiori su peduncoli di 1-2 cm; calice gamosepalo con denti brevi; corolla bianca di 3 mm di Ø;
Capsula ovoidale quasi completamente avvolta dal calice.
Dal latino Samolus, i = la pianta che Plinio nella sua Historia Naturalis, XXIV, 63, cita riferendosi a un’erba che i Druidi raccoglievano e utilizzavano contro le malattie del bestiame e dei maiali: “I Druidi, inoltre, hanno dato il nome di samolus ad una determinata pianta che si sviluppa nelle località umide. Questa, dicono, deve essere raccolta a digiuno e con la mano sinistra, poiché tutela contro le malattie a cui i maiali ed il bestiame sono soggetti. La persona stessa che la raccoglie deve fare attenzione non guardare alle sue spalle, e la pianta non deve essere depositata in altro luogo che non sia il trogolo dove il bestiame si abbevera.” Secondo alcune ipotesi, la pianta dei Druidi sarebbe da riferirsi al Samolus valerandi, anche se non vi è alcuna certezza di ciò. Plausibile anche l’opinione che questo nome sia formato da due parole celtiche: san, che significa salutare, e mos, che significa maiale; cioè pianta che dà la salute a questi animali. L’epiteto specifico è riferito a Dourez Valerandi, un botanico del sedicesimo secolo di cui fa menzione Johan Bauhin, rinomato botanico di Basilea che determinò il Samolus valerandi, nome successivamente ripreso da Linneo.
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